Onorevoli Colleghi! - Da anni la questione del numero chiuso, oggi definito «numero programmato», si pone tristemente all'inizio di ogni anno universitario. Decine di migliaia di studenti e di studentesse si vedono costretti ad abbandonare i loro obbiettivi, a rinunciare a un progetto di studi, perché respinti da questionari compilati in tutta fretta con centinaia di altri giovani. Questionari che con poche domande decidono del futuro di questi giovani. Questionari che dividono anche il mondo accademico: secondo molti professori i test non sono in grado di valutare gli studenti e portano a discriminazioni inaccettabili. Risulta infatti che circa il 75 per cento degli studenti che superano le prove attitudinali proviene da famiglie che hanno entrambi i genitori laureati.
      Le motivazioni che da sempre i sostenitori del numero chiuso portano a giustificazione di questo provvedimento sono fondamentalmente due: la mancanza di strutture che possano accogliere degnamente tutti gli aspiranti universitari, da un lato, e la mancanza di sbocchi occupazionali per tutti gli iscritti ai corsi di laurea, dall'altro.
      Ma in entrambi i casi la scelta del numero programmato è una facile scorciatoia che lede i diritti degli studenti e delle studentesse. Un escamotage che, mentre impedisce a migliaia di giovani di continuare gli studi, maschera la responsabilità di chi in questo Paese ha operato scelte decisive per il sistema formativo e per il mondo del lavoro.
      Sono anni che si perpetra e si promuove la scorciatoia del numero chiuso e, al contempo, si portano avanti politiche che tagliano senza scrupoli i fondi destinati all'università e alla ricerca. Le condizioni di accesso all'università sono diventate più restrittive per gli studenti meno abbienti, non solo perché la riforma, attraverso il sistema dei crediti formativi, attua una spietata selezione classista (che

 

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perciò lascia più indietro proprio chi non ha i mezzi per pagarsi gli studi), ma anche perché, parallelamente, sono stati tagliati tutti i servizi (residenze universitarie, mense, prestito di libri, borse di studio, trasporti gratuiti, e così via).
      Tutt'altra dovrebbe essere la direzione: lo Stato dovrebbe intervenire con un forte investimento nelle attrezzature, nei posti nelle aule, nella formazione dei docenti, nei servizi destinati agli studenti. Sarebbe, in primo luogo, un investimento sulle intelligenze e sulla voglia di studiare; sarebbe, in secondo luogo, un investimento con un effetto economico, perché il diritto allo studio comporta necessariamente laboratori, collegi, borse di studio, strutture ricettive, tutto un complesso di attività con un significato economico.
      Ma chi promuove il numero programmato parla anche di una scelta dolorosa, ma necessaria, visti i dati occupazionali. Nel mondo del lavoro non c'è posto per tutti ed allora meglio selezionare da subito! Ancora una volta, quindi, il numero programmato serve a celare problemi di ben altra natura rispetto al sovraffollamento delle università. Sono anni che si procede a una profonda destrutturazione del mercato del lavoro, che certo non provoca innalzamenti del livello occupazionale, e in più le si affianca una politica di tagli dello Stato sociale: meno lavoro e meno diritti per tutti, a prescindere che si scelga o meno di continuare un percorso di studi.
      Ma è giusto che le conseguenze di queste scelte politiche le paghino gli studenti e le studentesse italiani?
      Il numero programmato non fa altro che ledere un diritto che, fortunatamente, è ancora sancito dalla Costituzione: il diritto allo studio.
      La presente proposta di legge si pone l'obiettivo di ridare centralità a questo diritto perché chi sceglie di continuare gli studi, ed oggi è sicuramente una scelta coraggiosa, non trovi sulla propria strada un impedimento incostituzionale posto da chi non ha avuto il coraggio di affrontare realmente i problemi del sistema formativo italiano. Alla base della proposta di legge c'è la ferma convinzione che non è certo con una selezione all'ingresso che si colmano i terribili deficit dell'università italiana né, tanto meno, si risolvono i problemi dell'occupazione.
      Con la presente proposta di legge si dispone che l'accesso all'università sia consentito a tutti gli studenti e le studentesse che risultino essere in possesso dei requisiti previsti dalla normativa vigente. A tale fine l'articolo 1 riformula la disciplina di cui all'articolo 6 del regolamento recante norme concernenti l'autonomia didattica degli atenei, di cui al decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 22 ottobre 2004, n. 270. In particolare, è stata eliminata la possibilità, per le singole università, di istituire un numero programmato che regoli l'accesso ai corsi di laurea di I e di II livello.
      Si abrogano, inoltre, con l'articolo 2, le leggi e i regolamenti che programmano l'accesso ai corsi universitari.
      L'articolo 3 prevede che la nuova legge si applichi a decorrere dall'anno accademico 2007-2008.
 

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